I giovani rampanti democristiani, tra i quali spiccano Aldo Moro ed Amintore Fanfani, che assumono il timone della “balena bianca”, vengono dall’associazionismo cattolico che “sente” i comuni valori della sinistra e la vuole partner al governo. I mass media, abituati alla sintesi fin dai titoli dei loro prodotti cartacei e radio televisivi, riassumono con “… Pietro Nenni entrerà nella stanza dei bottoni”, per informare che la DC populista vuole governare con i socialisti. Gli stessi socialisti da cui, nel 1921, si era staccata a Livorno l’ala fondatrice dei P.C.I., e da cui Giuseppe Saragat aveva preso le distanze, durante le elezioni elettorali del primo dopo guerra. Randolfo Pacciardi non era in sintonia con questa “voglia” e da par suo l’avversava in ogni modo e maniera, sostenendo che i socialisti italiani di Nenni, Pertini, Lombardi non erano ancora maturi, democraticamente, per governare il Paese. Nel Partito Repubblicano questa diversità di intenti era vieppiù rafforzata dalla caparbietà di carattere dei due antagonisti, che La Malfa e Pacciardi erano personaggi duri a mediare. L’episodio riportato da alcuni organi di stampa, secondo i quali Pacciardi, nel 1961, arrivò persino a malmenare Ugo La Malfa, non ha alcun riscontro della realtà e persino Giorgio La Malfa sorride a chi lo accenna, definendolo una “pacchianata” e riducendo la vicenda ad un violento alterco. Nel 1963 tra Pacciardi e il Partito Repubblicano Italiano fu rottura; che il Partito lo abbia espulso o che lui abbia sbattuto la porta è fatto secondario, di fronte al trauma che decine e decine di tesserati e di attivisti ebbero a seguire, da quel momento e negli anni a venire. Una buona parte di essi, in Toscana( Pietrino Isoppi ed Enzo dall’Avo), Vitaliano Mambelli in Romagna, nel Lazio ( Franco Ficarelli e Mauro Mita), in Lombardia, nelle Marche, in Abruzzo ( Gianni Merciaro), in Sicilia, ed in numerose altre regioni, centinaia di aderenti a “Difesa Repubblicana”, la corrente che a lui faceva riferimento, lasciarono il partito, in cui alcuni di essi avevano militato una vita intera; molti furono i giovani che lo seguirono.
A Pacciardi si unirono personalità del mondo della cultura, delle professioni, della politica, della società civile, con esperienze addirittura in antitesi con le sue; tutti quanti, in special modo, condividevano con lui una riforma costituzionale in senso presidenzialista, cosa questa che determinò il profondo strappo con gli organi di potere di allora, che alla maniera sovietica lo condannarono non solo all’ostracismo ma all’oblio.
Il fiorentino Giuseppe Maranini, professore emerito di Diritto Costituzionale alla facoltà di legge dell’Università di Firenze si mise alla macchina da scrivere e stilò, su ispirazione di Pacciardi, il “ Manifesto per la Nuova Repubblica”.
Primo firmatario del documento fu naturalmente Randolfo Pacciardi, dietro a lui decine e decine di firme di personalità della cultura e della politica, provenienti sia da sinistra che da destra.
Nasce dunque, nel 1964, il “ Movimento Democratico Nuova Repubblica”.
Appello per una nuova Repubblica
Le correzioni, a penna, sono autografe dell’on. Pacciardi.
Quella di Mario Vinciguerra fu una tra le adesioni più convinte. Ne è testimonianza la lettera che il presidente della S.I.A.E. ed insigne letterato e giornalista scrisse a Pacciardi il 18 novembre 1964:
" Caro Pacciardi,
in seguito alla pubblicazione del manifesto del movimento di Nuova Repubblica, avvenuto nel numero di Folla dell’8 novembre, tu mi chiedi se io approvo cotesto indirizzo programmatico. Si, lo approvo, e non potrei non approvarlo senza commettere un atto di incoerenza. La ragione è la seguente: Nell’anno 1955 chiudevo il libro I Partiti politici italiani con le seguenti parole – al punto dove siamo, cioè con una popolazione infittita e che non si arreta nell’accrescimento, con la tendenza crescente dell’eguagliamento delle condizioni sociali, con il suffragio universale, non più relativo, come alla fine dell’ottocento, ma assoluto, la formula della repubblica democratica con la elezione indiretta del presidente non regge più. In sostanza, cosa è questo se non un regime di tipo feudale? E’ una specie di monarchia elettiva, le cui chiavi sono nelle mani di signori feudali, come i grandi elettori del sacro romano impero e i nobili polacchi, fino a quando non mandarono in malora il regno. Si obietta che i deputati e i senatori sono rappresentanti del popolo, da questo eletti, e non elettori per diritto di sangue. E’ una obiezione valida sul puro terreno giuridico. Deputati e senatori non sono sempre tutti i medesimi, è vero, ma nel loro insieme tendono a costituire un ordine chiuso, il quale, a misura che gli si accrescono i privilegi, diventa una casta, non molto dissimile in punto di fatto, dalla casta feudale. In queste condizioni di soverchianti prerogative, sebbene l’assemblea si trovi a quel posto per il voto dei cittadini, è portata ad obliarlo, a distaccarsi dall’elettorato, ed a proseguire certi fini e interessi di congrega. Inoltre, quando l’elettore compila la sua scheda elettorale, pensa alle questioni immediate che sono sul tappeto, alle aspirazioni e ai timori connessi, e vota guidato da queste idee. Non si può pretendere che sia in lui una visione così estesa nel tempo da pensare come i rappresentanti eletti si regoleranno al momento e nelle circostanze, ancora ignote, nelle quali si presenterà la elezione del nuovo presidente della repubblica di là da venire. In fatti questo argomento non è toccato da nessun programma elettorale. Cosicché non è vero che questa sia una effettiva elezione di secondo grado. Quando essa avviene, il lavoro preparatorio si svolge internamente nei conciliaboli dei parlamentari e delle direzioni dei partiti, del tutto distaccati dal corpo elettorale e dalla pubblica opinione. La repubblica democratica per votazione indiretta del presidente è un relitto del secolo XIX. Se si ammette come postulato della società contemporanea la democrazia egualitaria; se si ammette come postulato della vita pubblica contemporanea il suffragio universale assoluto, non c’è altra conseguenza logica a questi due postulati che la repubblica democratica per votazione diretta del presidente - In questo senso e verso questa mèta io penso proficuo alla patria un movimento che s’intitoli ad una nuova repubblica.
Auguri e saluti
Per conoscere meglio la "persona" Pacciardi, torna utile parlare delle di lui abitudini, delle cose che gli piacciono e quelle che non ama. Figlio di operaio e di origini proletarie Pacciardi, dopo i patemi dell’esilio, il sostentamento abbastanza precario suo e della moglia, sempre in giro per il mondo, con tante soddisfazioni, ma pericoli e difficoltà di ogni genere ovunque e comunque, raggiunge cinquantenne una discreta tranquillità economica. Tra Velletri e Cisterna ha una casa colonica con podere, abilmente condotto da contadini che lo adorano. Lì trascorre piacevolmente le giornate libere, passeggiando per i campi con i coloni, o trascorrendo giornate intere nello studio, davanti alla macchina da scrivere, attraverso la quale sforna importanti articoli per La Voce o interventi per il tavolo del Governo o l’emiciclo parlamentare. Le classiche vacanze estive le trascorre a Milano Marittima. Agli affetti familiari è molto legato e in occasioni come quelle delle vacanze estive, oltre l’affezionata Luigina, a Milano Marittima sono presenti i nipoti e qualcuno dei suoi fratelli. Luigina mai ha fatto trasparire il minimo lamento. Ha accettato una vita piena di fughe, l’esilio. Con pochissime risorse a disposizione ben quindici volte è riuscita a mettere su casa. L’ abnegazione di Luigina nei suoi confronti rafforza e qualche volte meraviglia Pacciardi e ne rafforza l’affetto coniugale. Ella era squisitamente di abitudini cattoliche a cui resterà fedele fino alla morte; tuttavia mai ostacolò l’ideologia del marito, che la convinse a sposarlo, strappandola dal suo ambiente dei benpensanti. A Roma vivono in un grande appartamento, munito di un’ampia terrazza, che lo aiuterà a non "sentirsi al chiuso" come gli piaceva confidare agli amici, tra una sigaretta e l’altra, che Pacciardi era anche accanito fumatore. Buon spirito, buon gusto e capacità di misura sempre appaiono negli articoli che scrive per "molti" giornali e periodici ai quali collabora convinto e pertinace; "articoli chiari, densi, rapidi ed equilibrati" scriverà uno dei suoi biografi, il giornalista Brunello Vandano, già citato in precedenza per alcuni pensieri sul "Garibaldi del ventesimo secolo".
Vandano prosegue nella sua descrizione: " Pacciardi è uomo facilmente comprensibile e descrivibile, del tutto privo di tortuosità ed ambiguità. Pure, resta di lui in’impressione alquanto bizzarra, quasi la sua figura massiccia, e la sua risonante personalità, direi quasi ingombrante, avessero qualche aurea di irreale. La ragione di questa aurea è che Pacciardi è uomo estremamente vivo, più vivo di buona parte di quegli uomini che incarnano il panorama politico italiano. E’ un uomo vivo dai sentimenti antichi, copsì come tanti politici suoi contemporanei sono dei cadaveri moderni. Si ha la sensazione che, ove il suo irruento amore alla vita cedesse un solo attimo, egli parrebbe risucchiato indietro nel tempo, non a metà degli anni 70 come adesso, ma agli anni tra il ’15 e il ’26, come un personaggio di un racconto di fantascienza."
Pacciardi chiuse l’intervista a Vandano con queste parole: " Sfidando la morte e la sorte avversa ci si allena, non a soccombere o a morire, ma a vivere……"