Il primo di gennaio del 1899 nasce a Giuncarico, Comune di Gavorrano, Provincia di Grosseto, Randolfo Pacciardi; il padre è Giovanni, la madre Elvira Guidoni. E’ il terzo figlio maschio, dopo di lui nascerà la sorella Elia.Il padre lavora nelle Ferrovie dello Stato come manovratore; il gravoso carico familiare crea sostanziosi problemi a Giovanni Pacciardi, il quale, tuttavia riesce a sostentare moglie e cinque figli in decoro ed armonia. Il piccolo Randolfo prende la licenza tecnica a Montepulciano, poichè il lavoro del padre e dei fratelli ha consentito di farlo istruire. L’infanzia è uguale a quella di tutti i fanciulli dell’epoca; una casa dignitosa, un piccolo orto ed un cortile nel quale giocare, il paese e la campagna, passeggiate, studio e piccoli lavoretti, per lo più incombenze familiari. Scuola e parrocchia, istruzione statale e catechismo, come ogni altro giovinetto italiano di quei tempi; poi il mare, vicinissimo, solo un’ora di faticose pedalate, per andare a bagnarsi nella bella stagione e nuotare, felicemente, prima di stendersi a prendere il sole nelle spiagge di Scarlino o al Puntone. Nell’estate del 1914, a soli 15 anni, al liceo, si schiera con gli interventisti, e, procuratosi i documenti di un amico compiacente che è maggiorenne, cerca di arruolarsi volontario. Il tentativo fallisce perché viene scoperto e rimandato a casa, con bonomia. Giovanissimo si iscrive al Partito Repubblicano Italiano. Chiamato alle armi nel 1916, frequenta a Parma il corso allievi ufficiali del III Reggimento d’Armata, comandato dal Duca d’Aosta, composto in gran misura da soldati toscani. La prestanza fisica lo vede arruolato nei Bersaglieri ed il Fronte di Combattimento lo accoglie subito dopo la riorganizzazione seguita alla disfatta di Caporetto. Nel 1919, viene congedato; l’esperienza bellica gli fa onore: due medaglie d’ argento per episodi ardimentosi ( ottuagenario si compiace dell’attacco al nemico sul fiume Livenza, difendendo un ponte in fiamme con pochi uomini al suo comando); ha all’attivo anche la croce militare inglese: la “Military Cross” concessa per l’eroismo e l’ardimento dimostrato in battaglia. Nel giugno del 1918, infatti, a Fagarè sul Piave, le linee italiane furono infrante dall’artiglieria e dai gas asfissianti ( proibiti dalle convenzioni internazionali, ma ipocritamente e impunemente usati dagli asburgo ungheresi ). Pacciardi, diciannovenne, è aiutante maggiore di battaglione; con fermezza e determinazione riorganizzò i reparti e li guidò al contrattacco. Un’altra medaglia se la guadagnò per un episodio avvenuto poco tempo dopo. A nuoto, assieme a sette soldati ai suoi ordini, riuscì a ricontattare una dozzina d’uomini, che si erano trovati distaccati e in difficoltà, dovendo essi difendere un isolotto sul fiume che era stato invaso da una piena. Ancora… durante l’offensiva finale contro le truppe austriache un loro contrattacco spezzò le nostre linee e le truppe inglesi del fianco sinistro. Pacciardi, incitando i soldati con l’esempio e l’azione, riuscì a ripristinare il collegamento e gli inglesi lo premiarono con il loro riconoscimento al valore più alto. Infine, sul fiume Livenza, Pacciardi, abile nuotatore, riuscì ad approdare sull’argine tenuto dal nemico, assieme ad altri quattro soldati, abili nuotatori come lui. I cinque attaccarono di sorpresa il fianco di un battaglione ungherese. Oltre al fatto di disorientarli e di farli arretrare i nostri riuscirono a catturare un numero enorme di prigionieri. Questo episodio farà proporre Pacciardi per la medaglia d’oro, ma gli fu concessa quella d’argento. Esistono due versioni, entrambe non ufficiali, sul perché di questo ridimensionamento. Secondo la prima il Duca d’Aosta, per il quale rientrava nella normale dignità di un giovane patriota offrire la propria vita davanti alle armi del nemico, in difesa della Patria, era piuttosto avaro in fatto di riconoscimento all’audacia. La seconda delle ipotesi è alquanto illuminante: le alte autorità dell’esercito, nate e cresciute alla corte del Regno, non vollero concedere la medaglia d’oro ad un noto ed acceso repubblicano.
Nell’immediato dopoguerra l’on. Giovanni Conti (*), che lo segue e lo stima, gli consiglia di lasciare la facoltà di lettere e di iscriversi a quella di legge. Riesce a laurearsi in soli due anni.
Nel corso del 1920 il settimanale grossetano “Etruria Nuova” ospita i suoi primi articoli, nei quali Pacciardi mette in evidenza il pericolo delle prepotenze fasciste:
“ ……… centinaia di camicie nere erano convenuti da lontani paesi. Indubbiamente bella prova di coesione e solidarietà. Dobbiamo, però, domandarci con quali mezzi questo si sia potuto effettuare. La Questura di Grosseto era stata ovviamente informata di ogni arrivo e la Questura ha a disposizione truppa e mezzi per poter intervenire di legge. Perché non è stato fatto un solo atto per scongiurare una così grave calamità alla nostra cittadina…………….”
Gli articoli di Pacciardi denunciano soprusi, prepotenze, e connubi……. il clima di allora insomma, con maestria e lucidità tali che nel 1923 egli, ultimo dei romantici, si trova ad affrontare un duello alla sciabola, il 6 aprile del 1923, che lo vide sconfitto per imperizia, non domo.Pacciardi è già a Roma, chiamato da Giovanni Conti, nel suo studio legale, ai tempi del duello di cui sopra, e gli articoli che lui redige sono pubblicati su La Voce Repubblicana, organo del partito. Sempre nel 1923, Pacciardi condivide con Giovanni Conti, deputato PRI, Raffale Rossetti, ufficiale della Marina autore dell’affondamento della nave austriaca Viribus Unitis, e intellettuali come Fernando Schiavetti e Cino Macelli (*), la necessità di contrastare l’incontrollata e sempre più violenta azione dei fascisti, fondando il movimento “Italia Libera” cui aderiscono ex combattenti delusi delle vicende relative al reducismo, causa la cattiva accoglienza loro riservata dai non interventisti socialisti.E’ di quel tempo un opuscolo, scritto da Randolfo Pacciardi con lo pseudonimo di Libero, su Giuseppe Mazzini, nel quale inizia a rivelarsi il profondo interesse del giovane avvocato grossetano nei confronti del vate del repubblicanesimo laico italiano. Successivamente Pacciardi assurge a notorietà nazionale per due episodi; il primo è professionale, essendo stato chiamato in qualità di difensore, a difendere La Voce Repubblicana, querelata da Italo Balbo per aver pubblicato informazioni che lo volevano coinvolto nell’omicidio del martire antifascista Don Giovanni Minzoni. Il 5 dicembre 1924 il tribunale di Roma assolve La Voce e condanna Balbo al pagamento delle spese processuali. L’altro episodio riguarda la manifestazione di Italia Libera a Piazza del Popolo, in occasione dell’anniversario della vittoria di Vittorio Veneto, con la quale Pacciardi si guadagnò dal Duce l’appellativo di “ avvocatino di Grosseto”preceduto dall’offensivo “insulso”. A quella manifestazione aveva partecipato anche Peppino Garibaldi, nipote dell’eroe dei due mondi.
In seguito alla sua attività politica, avversa al regime, Pacciardi è costretto a riparare in Svizzera alla fine del 1926. Più tardi lui stesso racconterà l’avventurosa fuga dalla violenza fascista, che lo costrinse a lasciare l’Italia.
“Lavorava a Roma presso lo studio dell’avvocato Giovanni Conti, quando, nel 1926, furono emanate le “leggi eccezionali” fasciste. Conti non era uomo d’azione, per cui veniva considerato poco pericoloso. Pacciardi, invece, subì molte intimidazioni che però non lo intimorirono affatto. Erano le luci dell’alba quando sentì bussare con vigore alla porta della sua abitazione, a Roma, in Via Gregoriana. Il suo racconto prosegue con la constatazione che in quel periodo non aveva clienti neanche di giorno, figurarsi alle cinque del mattino. Avveduto, scappò da una finestra sui tetti, così come si trovava, in pigiama, dirà sorridendo, sornione, aggiungendo pure che i suoi inseguitori erano goffi e panciuti, quindi tardivi, nell’inseguirlo sopra i tetti delle case adiacenti. Raggiunta la moglie in Toscana, Pacciardi fu tenuto nascosto da amici compiacenti, finchè la vedova di Cesare Battisti non gli fece pervenire un messaggio: “ L’aria di montagna, è buona, in questa stagione”. Assieme a Egidio Reale Pacciardi raggiunse la signora Battisti a Trento ed essa li affidò ad un gruppo di contrabbandieri che li portarono oltre il confine austriaco durante le feste di Natale.”
Stabilitosi nel Canton Ticino svolge un’intensa attività pubblicistica, collaborando assiduamente al quotidiano antifascista in lingua italiana di Lugano, “La Libera Stampa”. Nella scheda segnaletica che lo riguarda, stilata dalla Prefettura di Grosseto nel 1927 è scritto: “ Il convenuto ha da sempre professato principi repubblicani; contro il Regno ha, fin dal 1920, fatto attiva propaganda, anche mediante conferenze”. Tanti e tanti sono a testimonianza di quegli anni gli articoli scritti nel periodico Italia Libera, che in quell’epoca usciva e veniva pedissequamente sequestrato per gli attacchi rivolti a S.E. il Capo del Governo, il regime fascista e i regnanti. Nel 1933 Pacciardi viene incluso nella Rubrica di Frontiera e sul Bollettino delle ricerche: “Supplemento dei sovversivi” e viene quindi espulso dalla Svizzera.
La Guerra In Spagna.( 1936 -1939) La Repubblica iberica e l’insurrezione franchista.
Con la moglie, la devota e carissima Luigia Civinini, ripara in Francia. Qui riceve una lettera, da parte di Carlo Rosselli, il quale gli scrive che “…….ci sarebbe la possibilità di costituire rapidamente a Madrid il primo nucleo di una formazione italiana o sezione di una legione internazionale. Gli amici gradiscono sapere se, nel caso, potremmo contare sul tuo concorso al quale terremmo particolarmente e se, a giro di corriere, puoi indicarci con i dettagli del caso, elementi utilizzabili…….”. Randolfo Pacciardi non aderisce subito a tale richiesta.
Tuttavia, più volte sollecitato, richiede garanzie concrete e soltanto il 26 ottobre del 1936, firma a Parigi un accordo per la formazione di una Legione antifascista italiana. A tal proposito, dopo il rientro in Italia, da deputato e da ministro scriverà ne la Voce Repubblicana un memoriale per giustificare quella sua titubanza: “ I fuoriusciti socialisti e comunisti presenti in Spagna a fianco dei Repubblicani del governo di Madrid patrocinavano piuttosto l’invio di tecnici e di materiali fruibili attraverso raccolte di denaro. Solo i repubblicani italiani, memori delle antiche tradizioni risorgimentali, garibaldine e non solo, auspicavano una Legioni di volontari, composta in gran parte da italiani, ma anche da altri antifascisti europei”. Non doveva ne poteva essere il nucleo di uomini alle dipendenze di un qualsiasi partito spagnolo, egli forni precise condizioni: “ una Legione unitaria, autonoma, alle dipendenze ello stato maggiore della Repubblica spagnola, con il patronato politico del P.C.I., del P.S.I., e del P.R.I., con il concorso delle organizzazioni internazionali, tra cui gli inglesi e gli americani, aderenti ai Comitati a favore della Repubblica Spagnola. La Legione sarà autonomamente organizzata; i volontari si assumeranno l’impegno di arruolarsi per un periodo minimo di sei mesi.”
La Legione dei volontari combattenti italiani è intitolata a Giuseppe Garibaldi, e partecipa, da subito, al comando di Pacciardi, alla difesa di Madrid. Si distingue subito per eroismo al cerro de los Angeles, alla Puerta de Hirro e nella Città Universitaria; quindi a Pozuelo e a Boadilla de Monte scrive pagine di eroismo da leggenda, macchiando il suolo spagnolo con il sangue dei giusti. Si ricorda una frase, pronunciata dal Comandante Pacciardi in un colloquio con Gustav Regler, scrittore tedesco di fede comunista e volontario nelle brigate internazionali: “ Fallo sapere agli altri, dillo a chi puoi, scrivilo che noi non siamo affatto un manipolo di disperati, venuti qui per spirito d’avventura, o peggio, per non aver niente da perdere. Più della metà degli uomini ha più di quarant’anni, molti hanno moglie e figli,avevano trovato un nuovo pane nell’emigrazione, hanno abbandonato tutto, famiglia, lavoro, affari, hanno pensato solo di combattere per la libertà di un popolo oggi, ma consapevoli che quando vanno in prima linea credono di combattere per il futuro della democrazia in Italia.”
Nelle battaglie di Mirabueno e a Majadahonda i combattenti volontari si comportano con uguale eroismo e Pacciardi si dimostra comandante competente, capace ed amato dalla truppa, che segue i suoi ordini e ubbidisce ai comandanti con deferenza e rispetto, da veri militari. Durante la battaglia sul fiume Jarama Pacciardi viene ferito da un colpo di fucile alla fronte. Dopo le opportune cure, ristabilito ed in perfetta forma fisica e mentale, tornato al posto di comando, partecipa alle ultime fasi della battaglia di Guadalajara, dove le truppe fasciste vengono clamorosamente battute. Si arriva al giugno del 1937; il battaglione Garibaldi si trasforma nella XII Brigata Internazionale e partecipa agli scontri di Huesca e di Villanueva del Pardillo. Pacciardi non è contento, vuole una Legione solo di italiani, in dissenso come al solito con socialisti e comunisti. La sua pazienza finisce quando il commissario politico gli comunica l’ordine di intervenire contro l’insurrezione anarchica in Catalogna. Alla fine dell’estate dello stesso anno lascia il comando e esce dalla Spagna, subito dopo aver assistito ad una commemorazione, al cinema Coliseum di Barcellona, in memoria dei Fratelli Rosselli.
Che erano sereni e tranquilli i coniugi Pacciardi lo dimostrano con il tenore della lettera inviata a Grosseto ai genitori di Randolfo, che scrive, assieme a Luigia: “ Carissimi, sempre bene e nulla di nuovo. Fra pochi giorni vi faremo pervenire un centinaio di lire come nostro regalo di capodanno. A noi non fa scomodo mandarvi questa sommetta poerchè possiate bere alla nostra salute e ricordarci. Con l’anno nuovo speriamo che possiate farci visita, così saprete direttamente ciò che vi interssa sapere. Tanti baci. Baci cari da Gigina”
Durante il 1939 Pacciardi si trova negli Stati Uniti d’America, invitato colà da numerose organizzazioni democratiche e repubblicane. In molte città americane “l’insulso avvocatino di Grosseto” è oratore ufficiale in molte conferenze e dibattiti, dando prova di non essere solo un abile soldato, ma anche un raffinato parlatore, qualità che lo farà apprezzare dagli italiani tutti fino alla morte, avvenuta nel 1991. Nella primavera del 1940 è a Parigi, assieme al suo luogotenente ed amico Giorgio Braccialarghe, che gli starà accanto fino alla fine. Quando i nazisti occupano Parigi i due riparano l’Africa Settentrionale e riparano a Casablanca. Dopo una serie di eventi in quella città, luogo di incontro e di intrighi delle potenze belligeranti e dei loro servizi segreti, Pacciardi, assieme alla moglie Gigiona e a pochi fedelissimi torna a New York, dove, assieme ad un gruppo di fuoriusciti antifascisti, tra cui Gaetano Salvemini , Arturo Toscanini, Aldo Garosci e Carlo Sforza, fonda la “ Mazzini Society, il cui scopo principale era quello, basandosi sull’insegnamento mazziniano, di formare un corpo di spedizione tutto italiano, da affiancare ai combattimenti in Europa, contro le forze nazi fasciste. Questa associazione pone altresì come pregiudiziale la forma repubblicana delle istituzioni italiane e si dichiara indisponibile a ad ogni forma d’accordo con i comunisti e i socialisti.
Nel 1942, esattamente il 17 agosto, Sforza organizza a Montevideo il primo convegno di questa benemerita associazione, con l’apporto di Pacciardi, il quale, però non fu in grado di intervenire, per banali ma fondati motivi. In quella sede gli intervenuti ribadiscono la necessità di sbarazzarsi della monarchia con la creazione di una repubblica laica e democratica, facendo emergere l’esigenza di eleggere una Assemblea Costituente, per dotare l’Italia di una Costituzione agile e popolare. Con uno splendido articolo pubblicato dal periodico “Nazioni Unite”, organo della Mazzini Society, Pacciardi avalla e sottoscrive il programma condiviso da tutti gli interventi del Convegno di Montevideo. Di quel periodo la leggenda si associa alla realtà. Randolfo Pacciardi, alto di statura, massiccio, biondo di capelli, con gli occhi celesti, non era insensibile al fascino femminile. Pur affezionato alla moglie Luigina, cui resterà legato fino alla di lei morte, più e più volte lui stesso e chi gli era stato vicino come Luigi Delfini e Giorgio Braccialarghe, avevano raccontato, o ammesso a mezza voce, come la stessa Ibarrury, la “pasionaria” dei repubblicani spagnoli lo avesse accolto tra le braccia, o l’avventura con la giornalista anglosassone amica di Heminguey.
Brunello Vandano, giornalista d’antan degli anni ’70 così lo descrive in un articolo per un giornale femminile:
“ E’ il tipo di italiano che sembra fatto per la gioia di vivere; ma fin dall’infanzia ha conosciuto la lotta e le privazioni…. Oggi è il prototipo del cittadino laico, battagliero e vulcanico…… Randolfo Pacciardi è un uomo alto e pesante , con un visoi roseo e dai lineamenti esatti, ove la fronte un po’ sfuggente fa una linea continua col naso, capelli grigi ondulati e un sorriso che segna nelle guance carnose pieghe e fossette d’una grazia settecentesca. Il suo aspetto è italiano fin quasi alla convenzionalità; rammenta, infatti, un tipo umano e professionale che per più di un secolo è stato quasi il simbolo del maschio italico: il tenore d’opera. Non per nulla, quando è allegro e distratto. Egli canticchia con voce tenorile brani d’opera, d’operetta o romanze……Sebbene questo possa sembrare un ritratto critico egli impersona in positivo altri due tipi di italiani: il capitano di ventura e il combattente romantico, alla guisa di Giuseppe Garibaldi, di cui Pacciardi ha nella vita emulato l’esemplare coraggio……..”
Sta di fatto che Pacciardi stesso ammise, ormai novantenne, in una intervista al giornalista Loteta, nel libro “ Cuore di battaglia”, di essere stato l’ispiratore del film Casablanca, con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman.
Commemorazione Randolfo Pacciardi - martedì, 16 aprile 1991