Nei giorni 6 – 7 – 8 maggio del 2022 a Roma, all’Hotel Quirinale, si svolgerà il CINQUANTESIMO Congresso nazionale del Partito Repubblicano Italiano. Costituito ufficialmente nel 1895, il Partito Repubblicano Italiano ha radici storiche molto più antiche, che risalgono alle dissertazioni di quel trattato che risultò vincitore di un premio, durante la Repubblica Cisalpina, nel 1797, scritto da un giovanissimo Melchiorre Gioia (1767 – 1829). La lettura di quel trattato dette la stura al giovane Giuseppe Mazzini (1805 – 1872)per impostare tutta la sua esistenza ed il suo operato, rivolto con vigore verso l’unità italiana, intesa come democrazia repubblicana. Di acqua sotto i ponti da allora ne è passata molta, a volte limpida, a volte limacciosa, a volte vorticosa, a volte tranquilla, spesso frammista al sangue di veri eroi. I cinquanta congressi del P.R.I. sono vere e proprie pagine di storia patria, che non possono essere sottaciute, ne tanto meno rinnegate. Di volta in volta dovettero essere affrontati argomenti contingenti, ma anche di collocazione socio politica, imponendo scelte e sacrifici; spesso ottenendo risultati mediati, ma mai mediocri. Il contributo al Risorgimento dei repubblicani che operavano nei vari Stati italiani esistenti all’indomani di Sant’Elena, con i moti che vanno dal 1821 alle guerre di indipendenza, sono pagine di storia scritte molte volte con il sangue; così come la Repubblica Romana del 1849, se non campagna garibaldina dei Mille, e gli episodi di Mentana ed Aspromonte. Nelle file dei repubblicani di quel tempo, vivace se non aspro, fu il dibattito tra coloro che anteposero la necessità dell’Unità a quella istituzionale. I repubblicani della seconda metà dell’ottocento furono profondamente divisi su questa fondamentale scelta. Ciascuno dei protagonisti di quel periodo portò il suo importante contributo, comunque, al benefico comune della causa italiana, a Torino, a Firenze e a Roma, come nello Stato Pontificio prima e nel Meridione. In Romagna, in Toscana, nel Lazio, nelle Puglie ed in Sicilia, ma anche in altre regioni, i repubblicani si riunirono in libere associazioni; gruppi che si occupavano di istruzione, lavoro, sanità, svago, agricoltura, artigianato e sicurtà, fino ad arrivare alla ufficialità dei Patti di Fratellanza ( il primo nel 1876 a Genova; l’ultimo a Bologna, nel 1893), che furono il prodromo alla costituzione del Partito. Nel regime costituzionale monarchico durante i lavori parlamentari della Camera ( i membri del Senato non venivano eletti, ma nominati dal sovrano) molti furono i parlamentari repubblicani che si distinsero, presentando progetti di legge che migliorarono il livello nazionale sotto molteplici profili. Nel territorio molte furono le comunità che videro gli amministratori repubblicani brillare per l’inventiva del loro operato e la capacità di governo. Il primo dei cinquanta congressi del Partito Repubblicano Italiano si svolse a Bologna il 21 aprile del 1895. Alle elezioni politiche del 1897 i ventidue repubblicani eletti formarono il primo gruppo parlamentare del Partito; tra di loro spiccano i nomi di Giovanni Bovio, Salvatore Barzilai e Colajanni Napoleone. Il partito dell’edera aveva messo solide radici nello stivale. I congressi successivi furono memorabili per le scelte, determinanti per il futuro del medesimo. Ancora sussisteva il dualismo iniziale tra la scelta dell’astensione dalla politica, nello stato monarchico, avversa alla conclamata necessità di coloro che avevano messo al primo posto il raggiungimento dell’unità nazionale. Ancor più netto fu il confronto tra i “romantici”, che mettevano al primo posto il principio mazziniano del libro ( la cultura) da anteporre al badile ( lavoro) e i “modernisti”, i quali sostenevano le rivendicazioni sociali al primo posto per cui battersi. Verso la fine dell’ottocento e i primi del novecento emerse una figura di repubblicano che ha lasciato una grossa impronta negli annali di questa bella storia: Ernesto Nathan. Nasce a Londra nel 1845; la madre era una fervente mazziniana ed era andata in sposa ad un ricco commerciante ebreo che morì a Londra quando Ernesto aveva 14 anni. Nel 1859 la vedova Nathan ed il figlio si trasferiscono prima a Firenze ed a Roma nel 1870, dove lavoro alla amministrazione del giornale mazziniano L’Italia del Popolo. Nel 1898 divenne consigliere comunale a Roma, divenendo in seguito assessore ai beni culturali. Dal 1907 al 1913 fu sindaco di Roma. Tutti i suoi numerosi biografi e tutti gli studiosi che a lui si sono interessati hanno di lui la medesima stima: un grande laico, un grande sindaco, un unico interesse: la cosa pubblica. Ed in effetti fu uno straordinario esempio di rigore politico e morale, improntato ad una profonda concezione mazziniana, quindi laica e democratica, delle gestione pubblica. Ebraismo, mazzineanesimo e massoneria sono le direttrici che interagiscono nella sua formazione giovanile e di impegno politico nella maturità. In tutta la sua vita egli si dedicò anche alla raccolta ed alla diffusione degli scritti di Giuseppe Mazzini. Il 2 dicembre del 1907, all’atto dell’insediamento nella carica di sindaco assume rilevanza annotare come “ guardare all’avvenire, ad una grande città, ove scienza e conoscenza siano fulcro delle moderne esigenze di libertà e democrazia, senza trascurare le nuove frontiere delle attività artistiche, culturali, sociali e del lavoro”. Scuola, servizio pubblico, salute, casa e lavoro, sono tra gli interventi prioritari della sua giunta. Aggirato l’ostacolo del “non expedit” di Mastai Ferretti, frutto dell’irritazione papale per la perdita del potere temporale nel 1870, dopo lo sfondamento di Porta Pia a Roma, i cattolici delle organizzazioni papaline italiane, si accordano con i liberali ( quelle famiglie rurali i cui cognomi facevano bella mostra di se sulle banche delle chiese. Nel 1912 fu sottoscritto il Patto Gentiloni ( Ottorino, nobiluomo cattolico e liberale) grazie al quale numerosi attivisti cattolici trovarono posto in quelle liste, ottenendo un successo inaspettato. Si consuma così anche il “sacrificio politico” del sindaco repubblicano, del quale, tuttavia, restano ancora oggi, ricordi indelebili. Muore a Roma nel 1921. Di altre due figure è opportuno parlare. Due personaggi che al Partito Repubblicano italiano hanno dato lustro e gloria: Mario Angeloni ( 1896 – 1936) e Randolfo Pacciardi ( 1899 – 1991). Mario Angeloni nasce a Perugia nel 1896 da famiglia benestante; il padre è avvocato ed esponente del Partito Repubblicano. Anche Pacciardi ottenne brillantemente la laura in legge; nasce da modesta famiglia ( il padre era ferroviere in provincia di Grosseto) e si trasferisce, giovanissimo, a Roma nello studio legale di Giovanni Conti, amico del padre di Angeloni e membro della direzione nazionale del P.R.I. Tutti e due sono intervenisti, Angeloni militare di carriera e Pacciardi volontario. Entrambi ricevono medaglie al valore per atti di eroismo in battaglia. Si oppongono alle protervie del regime fascista e ne pagano pesantemente le conseguenze. Angeloni viene duramente malmenato e condannato al confino. Dopo anni di patimenti viene graziato in quanto decorato della grande guerra e riesce a riparare in Francia. Partecipa agli incontri con gli altri fuoriusciti e diventa segretario della Lega Internazionale dei Diritti dell’Uomo. Nel mese di maggio del 1936 segue Carlo e Nello Rosselli in Spagna, dove, con altri antifascisti, si schiera a favore della Repubblica, aggredita dal generale Francisco Franco. Nell’agosto dello stesso anno muore in battaglia presso la città di Huesca. Randolfo Pacciardi a Roma si distingue per la condanna a pagare le spese del Tribunale, nella causa che Italo Balbo aveva intestato a La Voce Repubblicana, che lo accusava apertamente di essere il mandante dell’omicidio di Don Minzoni, parroco di Argenta. Nel 1926 lascia l’Italia con uno strattagemma. Riuscendo ad evitare la condanna al confino. Raggiunge la Svizzera e si stabilisce a Lugano, dove collabora come giornalista a periodici politici antifascisti. Nel 1932 è costretto a lasciare la Svizzera e ripara a Parigi. Viene eletto segretario politico del Partito Repubblicano italiano in esilio. E’ ancora in Francia allo scoppio della guerra civile spagnola; poco dopo la morte di Angeloni Pacciardi acconsente a guidare i volontari internazionali che combattono in difesa della repubblica, arrivando a costituire il mitico Battaglione Garibaldi che vinse la battaglia di Guadalajara, sbaragliando le truppe italiane inviate da Mussolini in aiuto a Franco. Nel 1938 lascia la guida del battaglione e si reca a Casablanca, in Marocco, per poi raggiungere New York, dove terrà alcune conferenze, organizzate dalla Mazzini Society. Rientra in Italia solo quando viene indetto il referendum tra monarchia e repubblica, nell’aprile del 1946. Da convinto mazziniano e repubblicano verace Pacciardi rifiutava di collaborare con gli altri partiti del dopoguerra a formare il governo, il che lo avrebbe obbligato a giurare nelle mani del re. E’ uno dei 23 eletti all’Assemblea Costituente nelle liste del Partito Repubblicano Italiano. Dal 1948 al 1953 è ministro del governi De Gasperi. Come ministro della difesa si attiva per un più moderno assetto dell’esercito italiano, guadagnandosi l’ammirazione dell’intera truppa, dal soldato semplice al più medagliato ufficiale. Viene eletto alla Camera dei Deputati dal 1948 al 1968. Nel 1963, allorquando la sinistra democristiana dossettiana conquista la segreteria del partito … Moro, Fanfani e Donat Cattin manovrano per costituire una nuova forma di governo, assieme ai socialisti di Nenni e De Martino. Pacciardi, in Parlamento, pronuncia un memorabile discorso, asserendo che, ancora, i socialisti, troppo legati, nel territorio, al partito comunista italiano, non sono ancora pronti ad “entrare nella stanza dei bottoni”. Ugo La Malfa ed Oronzo Reale, il cui ingresso nel P.R.I. Pacciardi aveva caldeggiato, dopo la scarsa fortuna elettorale del partito d’azione nel quale militavano, sono molto favorevoli a questa manovra governativa che porterà al “centrosinistra”. Riescono a mettere in minoranza i pacciardiani, il cui leader viene, addirittura, espulso dal partito per indisciplina. Nel 1964 assieme a Mario Vinciguerra, il gen. Raffaele Cadorna, Alfredo Morea ed altri da vita all’Unione democratica Nuova Repubblica, diffondendo la proposta di riforma costituzionale presidenzialista. Prima con il settimanale Folla, poi con Nuova Repubblica, attira intorno a se molti giovani; i teatri e le piazze dove vengono organizzati i suoi comizi sono sempre pieni di gente.Nuova Repubblica si presenta alle elezioni politiche nel 1968, ma il potere partitocratico blocca la legittima aspirazione di Pacciardi a partecipare alle tribune, ai dibattiti e ai confronti televisivi. Tuttavia U.D.N.R, riesce nel territorio a nominare qualche consigliere regionale e molti rappresentanti nei Comuni e nelle Province. Sono molti i centri del potere politico ed economico che osteggiano l’avvocato maremmano che continua la sua lotta contro il sistema partitocratico il quale, nel 1974, trova un giovane giudice disposto a firmare contro di lui quello che allora si chiamava “mandato di comparizione”. Quasi tutta la stampa italiana e non solo dedicò a questo atto molto spazio, anche se Pacciardi ebbe a dire, senza mai essere smentito, che quell’atto a lui non era mai stato notificato. Quelle manciate di fango furono sufficienti a far allontanare dal movimento la gran parte dei simpatizzanti e degli elettori. Il metterlo sotto quella fosca luce indebolì il movimento da lui fondato. I suoi avversari cantarono vittoria e nel 1978 il fascicolo delle indagini preliminari venne archiviato con la dicitura “ non punibile perché il fatto non sussiste”. Pacciardi era uso recarsi alle Terme di Castrocaro a “passare le acque”. Nel 1979 muore Ugo La Malfa. Alcuni esponenti del P.R.I. romagnoli si recano a trovarlo e gli chiedono di accettare il ritorno nel partito. A Roma, nel Consiglio Nazionale e nella Direzione la proposta del reintegro di Pacciardi viene accolta. Nel 1980 Nuova Repubblica viene sciolta e lui entra a far parte della Direzione nazionale. Pacciardi muore, a Roma, nel 1991. Nel 1946, quando il partito repubblicano italiano riprende la sua attività in Italia, due sono i serbatoi ai quali attinge la sua consistenza elettorale. La sua rappresentanza politica ha piccole percentuali, ma i suoi rappresentanti sono sempre all’altezza del compito che si sono assunti. Sul divario delle percentuali tra i maggiori partiti e l’edera repubblicana giova ricordare l’aneddoto raccontato dal senatore Aldo Spallicci ( Bertinoro 1886 –Premilcuore 1973), illuminato politico e sagace poeta il quale così rispose ai colleghi democristiani che scherzavano sul divario delle percentuali ottenute: “ Va bene così, benedetti ragazzi, in ogni classe ci sono 30 allievi ed un solo maestro!”. Il primo serbatoio di voti sono i circoli ENDAS, che raggruppano soci desiderosi di ritrovarsi per giocare e discutere, solidarizzare e affratellarsi. Il secondo serbatoio è l’Associazione Mazziniana Italiana, i cui presidenti diventavano membri di diritto del Consiglio Nazionale del Partito. Michele Cifarelli ( 1913 – 1998) magistrato di mestiere e politico per vocazione è uno di questi; ma anche il prof. Giuseppe Tramarollo (1910 – 1985) ed il prof. Giulio Cavazza lo sono stati, e, per tutta la durata della loro presidenza, hanno fatto parte del Consiglio Nazionale. Con Tangentopoli il partito ha risentito appieno i contraccolpi del giustizialismo populista, pagando pesantemente colpe non propriamente sue. Agli inizi del nuovo millennio le nuove esigenze sociali emerse come richieste, dall’elettorato italiano, rendono ancora più precaria l’esistenza del partito, il quale, con il Congresso di Bari dell’ottobre del 2002, accetta l’offerta di Silvio Berlusconi. L’imprenditore milanese era “sceso in campo” fin dal 1994, per evitare che la sinistra italiana, ancora venata dal marxismo, uscita ,miracolosamente indenne, da Tangentopoli resti la formazione politica più consistente. Le ideologie non erano più trainanti e il fondatore dell’impero Fininvest ha il colpo di genio, la folgorante trovata, di equiparare l’agone politico a quello sportivo, fondando Forza Italia. Mentre il pool di mani pulite finisce il suo lavoro mettendo al tappeto i partiti democratici risorgimentali Forza Italia vince le elezioni e Berlusconi diventa presidente del Consiglio. A Bari, il congresso del PRI accetta la ciambella di salvataggio offerta al partito da Berlusconi, a grande maggioranza dei delegati. Con un patrimonio di voti stimato a poco meno di duecentomila voti Giorgio La Malfa e Francesco Nucara vengono eletti alla Camera nelle liste di Forza Italia; il milanese Antonio del Pennino viene eletto al Senato. Ancora una volta le fila del partito repubblicano italiano si confrontano e si sfidano a causa di questa scelta, tuttora non risolta. Il partito non accetta le nuove manovre berlusconiane e perde la rappresentanza parlamentare. Mentre si discute e, magari, anche si litiga, buona parte del suffragio elettorale dell’edera viene meno. Molti salgono sul carro del partito democratico, altri restano a Forza Italia, altri ancora tentano strade autonome. In Romagna ed in altre particolari zone ancora ci sono repubblicani che si impegnano sotto le bandiere dell’edera, fino ad arrivare ai giorni nostri, al cinquantesimo congresso, appunto, a Roma. Occasione, questa, per ritrovarsi, discutere, e magari, ancora litigare, per stabilire …. con chi allearsi. I cirenei che si sono presi la briga di guidare il partito in questo ultimo lustro, non hanno avuto fortuna. Già nel 2004 il tentativo di mettere assieme il repubblicanesimo italiano con Brancaleone Sgarbi non sortì che effetti nefasti, così come, recentemente, con Bellantonio Calenda. Possibile che una storia come questa che ho raccontato possa ancora portarci a cercare gli strapuntini dei convogli altrui? Possibile che si continui a credere di poter aver credito militando in formazioni politiche avulse dal mazzineanesimo. Roberto Balzani e Stenio De Carolis, sono solo due tra i tanti esempi di coloro che ci hanno provato, e non ci sono riusciti. Vi esorto, adesso, a non lasciar cadere questa occasione. I presupposti ci sono, ne sono certo. Da Carrara, da Ravenna, da Roma, da Cesena, sono tante le città dove ancora operano i repubblicani. Nel nome di Giuseppe Mazzini, un vecchio arnese toscano di ottant’anni vi sprona a non mollare. Renato Traquandi Arezzo www.sentierirepubblicani.it |
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