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Guido Monaco d’Arezzo
Non sono trascorsi che pochi anni dalle celebrazioni del millenario della nascita di Guido, a Talla, in terra di Arezzo.
La musica è una delle espressioni più significative per l’esternazione delle capacità umane, sia in senso fisico che spirituale.
Gioia, dolore, stupore, entusiasmo, ira, amore, si possono manifestare attraverso la musica, sia attraverso la sonorità dell’aria dei nostri polmoni e delle nostre ugole, sia nell’abilità di saper usare strumenti costruiti all’uopo.
Fino ad allora i canti e i suoni dovevano essere imparati a memoria; oralmente venivano insegnati dal maestro al discepolo. Era quasi impossibile apprendere da soli una melodia sconosciuta; era dunque necessario oltre ogni dire prima ascoltarla eseguire da qualcun altro, capace. Già esistevano metodi, per aiutare la memoria dei cantori e dei suonatori, ai quali era domandata la fatica di imparare a memoria centinaia e centinai di composizioni musicali, che venivano esclusivamente tramandati, di generazione in generazione, attraverso questa unica metodologia.
Non sono certi, i dati anagrafici di Guido; quel che si conosce è che questo monaco prese i voti nel Monastero di Pomposa, vicino Ferrara, intorno al 1023. Molte sono le carte che indicano nel borgo di Talla, nel Pratomagno aretino, il paese di nascita, ma di certificati non ce ne sono.
Guido si rese conto della difficoltà di studiare a memoria tutte quelle composizioni, che venivano per lo più eseguite durante le celebrazioni liturgiche. Inizia a studiare il problema cercando e quindi trovando la soluzione.
Per chi sa di musica, sa anche che Guido in principio adoperò due tecniche: la notazione alfabetica ed il monocorde.
La notazione alfabetica fa corrispondere a ciascun suono una lettera dell’alfabeto, cosicché si può determinare, con approssimata verità, l’altezza dei suoni.
Il monocorde è, invece, uno strumento, fornito di una unica corda, sotto la quale sono scritte, in notazione alfabetica, le neonate note della scala musicale, a comunicare da “ut”. Pizzicando la corda in corrispondenza di una di queste note si ottiene il suono che a questa corrisponde. Dotato di un monocorde, lo studente poteva imparare correttamente un canto o suonare una melodia, anche senza la presenza di un maestro.
Guido non ebbe vita facile a Pomposa, che le gelosie e le invidie del confratelli, unite all’ostracismo da sempre usato verso le innovazioni e chi le attua, non gli resero facile restarvi.
Sarà il vescovo Teodaldo, intorno al 1030, ad accoglierlo nel Palazzo vescovile, dove fece parte dei canonici della cattedrale. Teodaldo, fu un vescovo che teneva in modo particolare al potenziamento della chiesa, ed ad una riforma, rivolta a consentire ai preti una vita rivolta verso la preghiera, che fosse più attenta ai valori morali e spirituali e meno apertamente coinvolta negli interessi politici ed economici. La nuova tecnica delle note musicali, inventata da Guido, molto aiutava lui stesso, il suo vescovo e i suoi fratelli, nello studio della Bibbia, per meglio predicare ai fedeli.
Guido stesso trascrive, in apposite pergamene, i testi delle melodie e degli inni, rivolti al Signore, ai martiri e ai santi, alla sacra famiglia, ai papi e ai vescovi, servendosi del pentagramma e delle sei note musicali da lui inventate. Istruisce i “ pueri cantores” della cattedrale aretina, oggi definitivamente diroccata, quella di Colle del Pionta. I risultati sono eccezionali; tutti restano favorevolmente incantati dalla bravura dei cantori e delle molteplici implicazioni di questo sistema di comunicazione, che, se pur sempre ideato a gloria del Signore, consentiva ai fedeli di farlo, con minor fatica, quindi con maggior entusiasmo.
E non solo alla gloria del Signore furono rivolte le rivoluzionarie impronte grafiche della musica, che ben presto i castelli risuonarono dei gorgheggi dei menestrelli rivolti alle damigelle e degli amanti fra di loro.
Attorno al 1036 Guido scrive, su sollecitazione del suo vescovo, quel Teodaldo di Arezzo, che lo ospitava e lo proteggeva, quelle note e quel pentagramma che lo renderanno famoso nel mondo dei posteri. Grazie al suo genio ed alla sua inventiva, da quel momento tutti coloro i quali si sentono attratti da questa forma d’arte nobile, potranno esprimersi senza più sottoporsi alle fatiche del mandare a memoria i testi.
Il “Micrologus” è un trattato sulle regole dell’arte musicale, il cui termine significa, letteralmente dal greco: “breve discorso”. Fino a quel momento ogni espressione musicale era stata composta per essere destinata a pochi, sì dotati, ma parimente colmi di molto fervore e scarso senso pratico.
Guido fa in modo di esporre in maniera chiara e razionale i concetti di base che ciascun musicista o cantore sarà obbligato a conoscere, per affrontare lo studio e l’esecuzione dei pezzi.
Riscontrando l’incoraggiamento del suo superiore e non più l’ostracismo dei sostenitori delle vecchie metodologie, Guido ebeb modo di migliorare anche gli strumenti didattici utili ai maestri; egli per primo riuscì a sintetizzare nuove idee, integrandole con i vecchi sistemi, riuscendo a fornire orchestranti e cantori con adeguata strumentazione, per esibirsi al meglio delle loro possibilità.
Gli antichi segni e le scritture adoperate fino a quel momento non erano mai stati precisi nell’indicare la sonorità delle note, ma pur lo erano nel saper valutare l’andamento delle varie melodie, le tante sfumature, il raggruppamento dei suoni.
In effetti Guido Monaco è passato alla storia per la genialità, attraverso la quale è riuscito a combinare la vecchia metodologia, che si basava sulle melodie e sui contralti, con la sua particolare scoperta, la quale consentiva di trascrivere, tramite semplici lettere d’alfabeto, il modo in cui i suoni potevano raggrupparsi.
I neumi, ovvero gli antichi segni, venivano collocati dentro una scrittura di righe e di spazi; una specifica lettera di alfabeto stava ad indicare a quale suono quella riga corrispondeva. In tal modo diventò possibile e molto pratico “leggere” la musica, con il tono e le modalità adeguate ad ottenere ciò che in quei fogli era espresso.
Chiave di violino, di basso, tono, semitono, sono alcune delle terminologie più tardi subentrate, grazie alle quali ci è stato consentito di affinare il metodo di Guido, che resta, comunque il creatore delle linee guida per tutti coloro che amano esprimersi attraverso la musica.
Guido ci ha lasciato ulteriori studi in questo campo, altri insegnamenti, come gli “Antifonari”, ovvero particolari libri che contengono canti liturgici, nei quali antiche melodie gregoriane sono trascritte con il nuovo metodo.
A corollario di questa opera sono arrivati a noi posteri altri suoi lavori: uno è il “Prologus in Antifhonarium”, che è dedicato alla descrizione della metodologia con righe e chiavi; il secondo, che ha la particolarità di essere stato scritto in poesia, ed è intitolato “Regular Rhythmicae”, a dimostrazione della ecletticità dell’uomo, che non è solo monaco, tratta delle possibili varianti che si possono ottenere usando la sua invenzione, non solo per glorificare il Signore, ma genericamente esprimere al meglio ogni tipo di sentimento umano, sia in positivo che in negativo.
Pregevolissima intuizione, susseguente al pentagramma, Guido Monaco la fa nel trovare soluzione all’apprendimento dei testi musicali tramite semplice lettura, applicando le medesime regole della grammatica in letteratura per riuscire a “leggere” la musica e “scriverla”, senza sobbarcarsi l’immane fatica di mandarla a memoria.
A tal fine elabora un metodo pedagogico, in cui inserisce la “solmisazione”, che è una sorta di solfeggiocantato, e la altrettanto conosciuta “mano guidoniana”, che consisteva nell’associare le note della scala alle dita di una mano, ed alle loro articolazioni.
In seguito a tutto questo il papa Giovanni XIX lo chiama a Roma, per elogiarlo, approvando i suoi metodi e la sua costanza.
Non è conosciuta, la data esatta della morte di Guido. Alcune antiche annotazioni fanno pensare ad un suo rientro al monastero di Pomposa, dopo che i confratelli ebbero riconosciuto di avergli fatto torto; altre fonti lo vogliono al monastero di Camaldoli, nell’alto Casentino di Arezzo, dove si sarebbe ritirato in preghiera, fino alla morte.
Di Guido Monaco resta a noi posteri, non solo la geniale scoperta che nel corso dei secoli ha agevolato oltre ogni dire l’abilità e la voglia di esprimersi musicalmente dei tanti poeti ed artisti del mondo occidentale prima e globale dopo; dietro le dimensioni culturali ed intellettuali di quest’uomo, che prese sì i voti, come era allora costume, quasi obbligo per l’epoca, per chi aveva estro e genialità, gli studiosi hanno sempre evidenziato una fortissima motivazione profana, di natura morale.
Ciò traspare nel coraggio e nella fermezza con cui il musico porta le sue idee, non arretrando di fronte allo scontro frontale con i detrattori.
Guido avverte come un dovere la sua missione, che nasce dalla propria coscienza, sapendo di dover operare fino in fondo, a beneficio della causa che ha scelto; utile a cantare meglio e meglio comporre, migliorando il decoro stesso dell’ecclesia, è vero, ma, soprattutto, consentendo alla gente comune di potersi con facilità esprimere, con madrigali, stornelli, sonate adatte a cerimonie lieti o tristi; insomma, Guido non ha scoperto la musica….. il suo merito è quello di averla sapientemente messa a dispostone di tutti.