Comune di Fano  ( Marche)

Intervento del mazziniano Renato Traquandi al Convegno tenuto il 9 Febbraio 2006 in occasione della celebrazione della repubblica Romana del 1849.

I  DUE  GIUSEPPE,  FRATELLI,  RIVALI

C’è un quadretto, ancora abbastanza diffuso nei circoli repubblicani di Forlì, Ravenna, Carrara, Roma, insomma dove ancora esiste l’etica repubblicana: rappresenta Giuseppe Garibaldi, in abito marinaro, mentre stringe la mano a Giuseppe Mazzini, il quale, con l’indice della mano sinistra levato, addita un’immagine della Repubblica.

Giuseppe Garibaldi si pone la mano sinistra sul petto, nel tipico atteggiamento di chi si sottopone a giuramento.

Altri giovani uomini assistono, visibilmente impressionati ed emotivamente coinvolti, alla scena dell’incontro; Mazzini, vestito in nero ed accigliato, Garibaldi con l’ampia capigliatura fulva sciolta sulle spalle.

In risposta alla perorazione di Mazzini ( siamo a Marsiglia, nel 1833, nella sede della Giovine Italia), Garibaldi risponde: “ Sono pronto, fratello, a liberare l’Italia dal dominio straniero e farla una e repubblica. Ditemi solo dove… quando… come…”.

“Ora!” è la risposta di Giuseppe Mazzini.

“Sempre!” rispondono gli altri giovani lì presenti in coro.

Garibaldi aveva solo 13 anni, durante i moti del 1821, e bastò solo un viaggio a Roma con il padre nel 1825, per suscitare in lui la profonda emozione, l’idea forza del Risorgimento, che tanto potentemente agì in tutte le sue vicende. Poi lo sdegno per le crudeli repressioni nel 1831.

Le sanguinose repressioni dei Savoia nel 1833 lo fanno diventare un condannato a morte come “ bandito di primo catalogo” e lo costringono a riparare a Marsiglia.

Garibaldi era venuto a sapere della Giovine Italia nella tarda primavera di quello stesso anno, poco prima dell’imbarco come sotto ufficiale di Marina Mercantile verso il Mar Nero nel brigantino Clorinda, da un tale, certo Cuneo, che ne propagandava i postulati, ed esattamente mentre davanti ad una brocca di vino in una taverna genovese conversavano con altri marinai.

Rientrato  a Marsiglia da quel viaggio per mare, Giuseppe Garibaldi fu condotto alla periferia della città porto francese, presso la residenza di tale Ollivier, dove Mazzini viveva segretamente, per sottrarsi al controllo della polizia francese, la quale desiderava allontanarlo da lì in quanto “ sovversivo”.

La prima azione di Garibaldi nella Giovine Italia fu la partecipazione al tentativo insurrezionale di Genova, nel febbraio 1834, che per lui finì con una fuga avventurosa, travestito da contadino.

Sia Mazzini che Garibaldi, nello scrivere i loro reciproci ricordi, non fanno alcun cenno a quel loro primo incontro.

Solo più tardi, nel 1841, Mazzini vi fa cenno, quando in risposta ad una lettera da Montevideo, a quel Cuneo prima accennato, e che la si trovava con Garibaldi; Mazzini risponde:

“… Sia Voi che Garibaldi avete, se non erro, giurato tutti alla Giovine Italia, siamo dunque fratelli, e in tal guisa Vi parlo, siccome a tali principi Voi foste legati, vedete di rientrare per la causa italiana, con lo stesso onore visto nelle Americhe….”

Spesso i due, nelle lettere che ciascuno di loro scrive ai vari corrispondenti in quegli anni, si citano a vicenda, sempre con reciproca ammirazione.

Nel 1842 Mazzini, in una lettera alla madre, scrive di Garibaldi: “ Quel giovine Garibaldi è colonnello della Marina in Uruguai, valoroso; egli è lodato dal National, giornale del governo, ed è un fatto che presto lo vedremo ammiraglio; sa fare cose grandi”.

Ancora, nel 1843, Mazzini, in una nuova lettera a quel Cuneo, scrive appositamente per scongiurare dissensi tra lui e Garibaldi, affermando: “ Garibaldi è uomo di cui il Paese un giorno dovrà giovarsi, per l’azione…”.

Infine, in un – Piano per un Moto insurrezionale in Italia – ( scritto da Mazzini nel 1844, con lo scopo di rianimare i fedelissimi, dopo il fallimento dei moti romagnoli del 1843) il  nome di Garibaldi compare in cifrato, come capo di una legione di 250 patrioti, pronti a sbarcare in Italia a vantaggio della causa unitaria repubblicana.

Nella sua prima lettera, inviata da Mazzini a Garibaldi, questi lo invita a contattare un patriota, il quale vuole arruolarsi nella sua marina in Sud America, ed intendersi con Garibaldi chiedendogli l’impegno di tornare in Italia; Mazzini afferma:

“…… di Voi non dubito, Vi credo uomo da non dimenticare mai la patria vostra, e di mai retrocedere nell’adempimento della parola data. Bisogna pure, un dì o l’altro, tentare migliori destini, che non quelli di morire a Londra o a Montevideo…”


Si avvicina il tempo in cui, nel corso del 1848, avviene l’arrivo di Mazzini a Milano, nell’aprile, e di Garibaldi, a Nizza, in giugno, per la breve vicenda che vedrà Mazzini uscire da Milano, come milite del battaglione garibaldino.

Esiste ancor oggi la concezione che da queste due grandi personalità siano scaturite le condizioni favorevoli per l’esito positivo del riscatto nazionale, tra i due nessuna contrapposizione, ma complementarietà: esecutore, Garibaldi, delle intuizioni di Mazzini, il braccio che segue il pensiero, azione che attua il proposito.

Questa interpretazione è a noi, repubblicani mazziniani, esegeti del post risorgimento, molto cara; pur tuttavia non del tutto corretta, non solo perché stende un velo pietoso sulle divergenze, le fratture talora notevoli fra i due personaggi; ma soprattutto perché tale impostazione nega al Mazzini l’azione politica autonoma e a Garibaldi, una propria specifica funzione politica, senza Mazzini.

E’ veramente significativo evidenziare come quel genere di idea di complementarietà fosse patrimonio del sentimento popolare, ad arte alimentato nei primi decenni del governo monarchico italiano da storici prezzolati per creare icone prive di animosità ma ricche di incenso e cornici; molti studiosi, molti editorialisti, ed anche certi politici furono coinvolti in questa strategia fuorviante. Anche se si ponevano in buona fede nel solco della tradizione risorgimentale e post risorgimentale, in breve arrivavano all’affanno, pur di smussare gli angoli, le punte più aspre, dal rigore pragmatico di Mazzini al realismo populista di Garibaldi, dal costante rifiuto della causa monarchica per il teorico, all’accettazione della realtà con conseguenti benefici per il militare…. Divergenze tra i due fratelli dallo stesso nome, ve ne furono, eccome, al di la degli apprezzamenti e della non sempre ottimale coabitazione negli eventi, chiusi tra la Storia e la leggenda….

Il 1849, durante i giorni della Repubblica Romana, costituisce il primo effettivo banco di prova per la coesistenza, in collaborazione, fra i due; forse l’esperienza più alta, nello spirito della democrazia, con tante incomprensioni, malintesi, diversità di vedute, ma lo stesso idem sentire.

Il raffronto fra il discorso pronunciato da Garibaldi all’Assemblea romana il 5 febbraio 1849 e gli articoli pubblicati nell’Italia del Popolo in quelle stesse settimane, mette in evidenza con chiarezza, come la Repubblica romana fosse per entrambi un punto fermo, anzi, acquisito, per quanto l’approccio per i due, fosse avvenuto in maniera diversa. Se è presente, in Garibaldi come in Mazzini, la tendenza  a  identificare, se non addirittura confondere, il concetto di Repubblica con quello di democrazia, in Garibaldi la semplificazione risulta eccessiva, allorché insiste sulla personale e dichiarata convinzione che l’istituzione rigida della forma repubblicana risulti l’opposto del dispotismo assolutista.

A Mazzini, pensatore più fine, non sfugge il lato negativo di tale concezione, secondo la quale, attribuendo alla Repubblica, e solo a questa, valori e contenuti positivi, la espone alla critica degli avversari, i quali straparlano di utopia, nonché al possibile annacquamento alla causa dei moderati. Mazzini tende a qualificare la Repubblica con caratteri netti, dotandola di una costituzione, questa si democratica, aperta a qualsivoglia aggiornamento, contenitore di grandi problematiche sociali, economiche, per l’amministrazione dello Stato, dallo svago alle tasse, dalle sanzioni, ai rapporti con il passato regime.

C’è una vera e propria unità operativa, fra Mazzini e Garibaldi, durante i pochi mesi della Repubblica Romana, però quasi sempre punteggiata da contrasti su problemi specifici; primo fra tutti quello dell’organizzazione militare, e, di seguito, nei rapporti col clero, o nei confronti degli estremisti miscredenti di Rieti, ed ancora sulle nomine civili e militari; oppure sul modo migliore per difendere i confini della Repubblica.

Tanto da arrivare a far sbottare Garibaldi, che un giorno fece recapitare al Triumviro il seguente messaggio: “ Qui io non posso esistere per il bene della repubblica che in due soli modi, o dittatore il limitatissimo, o milite semplice…. A Voi scegliere”.

Tra i due, quindi, esistono rapporti in Roma repubblicana e posizioni molto complesse, frutto di mancato coordinamento, ed anche di profondi, reali contrasti.

Garibaldi, alla fine, voleva uscire, come poi fece, seguito dai suoi fedelissimi, dalla città eterna, con l’esercito intero; Mazzini sperava che Garibaldi riuscisse a convincere l’Assemblea a votare per una uscita temporanea da Roma, continuando a combattere.

La storiografia ufficiale dei governi monarchici divide il destino finalizzato all’Unità, dei due. La funzione utile di Giuseppe Mazzini venne considerata esaurita dopo il 1849. Secondo i libri di Storia in dotazione agli studenti delle Scuole del Regno, la funzione di guida sarebbe stata patrimonio del solo Piemonte e della dinastia sabauda.

In seguito la sinistra marxista, di ogni venatura del socialismo, da Gramsci in poi, sminuisce l’azione di Giuseppe Mazzini, riconducendone le ispirazioni ai pensatori e agitatori giacobini; considerandone l’azione come espressione degli interessi della piccola, anche se colta, borghesia italiana, volta a soffocare, o quanto meno, a deviare, le aspirazioni sociali delle masse sfruttate.

L’implosione della forma violenta del socialismo reale dimostra con piena evidenza che si trattò di interpretazioni quanto meno frettolose, se non volutamente arbitrarie.

Gli scritti lasciati da Giuseppe Mazzini restano a testimoniare la validità dei concetti da questi lasciata e della quale, oggi i democratici di sinistra vogliono impadronirsi.

Quanto scritto nel programma della Giovine Italia, nei Patti di Fratellanza e nelle altre organizzazioni politiche e sociali pensate dal Maestro supera oltre ogni dubbio, oggi, la validità di queste anticipazioni e gli altri nebulosi programma.

La guerra rivoluzionaria, fatta da gruppi coordinati e imbevuti di odio di classe, al contrario di portare utili benefici, come qualche scriteriato oggi continua a sostenere, sono all’origine degli sbagli nazionali dalla fine dell’ottocento al termine della cosiddetta “prima repubblica”, ivi compresi quelli legati alla lotta partigiana nel 1944- 45, da questi gruppi ritenuta prologo alla vittoria del proletariato sulla borghesia e il clero; così come l’ostracismo non interventista del 1914-15, e del 1918-19, antefatti alle vicende che portarono al potere la violenza fascista.

Oggi gran parte dell’opinione pubblica, manovrata a dovere a chi ci avversa, ritiene che la politica e gli ideali mazziniani e repubblicani, e quindi anche garibaldini si esauriscano nel semplice termine di repubblica, solo ed esclusivamente nel senso istituzionale.

He questo non sia vero, oggi, vivaddio, lo dimostrano i fatti, oltre che i documenti! Fu solo e soltanto Giuseppe Mazzini a diffondere per la prima volta nel territorio che aspirava a  diventare uno, libero e laicamente sano, l’esigenza di una sorta di religiosità civile, con l’intuizione di una patria, espressione e simbolo della società – nazione, arricchimento reale e al contempo spirituale della città delle genti, prima con la Giovine Italia, poi nei contenuti della Giovine Europa, ed infine nella mondializzazione del concetto delle Tre Rome.

Giuseppe Mazzini fu tra i primi, in Europa, ad occuparsi delle complesse problematiche sorte con l’avvento della tecnica industriale, intuì la formazione del proletariato, non ponendolo, però, in contrapposizione al progresso, bensì tentando di promuoverne l’organizzazione, in senso culturale, sociale e civico; fu lui ad organizzare le prime società di mutuo soccorso del mondo produttivo, tra gli artigiani, i contadini, gli intermediari del commercio; per primo promosse le fratellanze operaie, dando vita al Patto di Roma, che nel 1871 fu la prima organizzazione generale dei lavoratori italiani.

Ecco ciò che scrisse al riguardo: “ Tre grandi fatti contrassegnano l’epoca nuova che sta per sorgere. Il primo è il moto di emancipazione, intellettuale ed economico, che sta svolgendosi nelle classi operaie, e che a poco a poco trasformerà le condizioni che sono oggi ( siamo nel 1871) imposte al lavoro; il riparto della produzione e le basi della nuova proprietà; il secondo è il moto delle genti, invano contrastato dalle monarchie restauratrici, moto che tende a rifar nuova la carta di Europa; il terzo fatto è la manifesta tendenza della civiltà dominante a conquistare le vaste regioni orientali e non solo.

Quale altro filosofo della politica e della res publica ha mai avuto tali intuizioni?

Luigi Salvatorelli, saggista e storico del secolo scorso, si domanda, in uno studio sul pensiero e le opere di Giuseppe Mazzini, in quale misura il genovese possa essere inquadrato negli stereotipi del socialismo. No!, egli si risponde, se si chiama socialismo unicamente quel sistema sociale che abolisce d’imperio la proprietà individuale dei mezzi di produzione e ripartisce il prodotto secondo un criterio di divisione al quanto meccanica, solo per opera dell’autorità dominante.  Si!, se al contrario si da alla parola socialismo un senso più elevato, e cioè quello di un  sistema sociale in cui proprietà e produzione siano organizzate secondo criteri di utilità e giustizia, di equità e condivisione.

Giuseppe Garibaldi, l’altro genovese, repubblicano prima, monarchico poi, mazziniano sempre, oltre ad essere uomo d’armi ha l’alta coscienza di cittadino.

Per la storia italiana è un esempio molto, molto grande, in quanto insegna al popolo che il cittadino sa essere patriota, quindi anche guerriero valoroso e dedito alla causa fino in fondo, con ferrea disciplina. Corsero sotto le sue insegne tutte le categorie sociali, nobili e plebei, letterati ed ignoranti, atei e credenti; assieme ai tanti futuri italiani centinaia furono i garibaldini d’oltralpe, tedeschi, polacchi, ungheresi, persino inglesi e francesi, e con loro alcune donne, che si distinsero sempre per l’ardore e la dedizione, al generale ed alla causa.

Anche nella figura, è stato detto, Giuseppe Garibaldi era fatto per innamorare le genti.

Statura mediocre, bionda e diffusa la barba, bionde le ciocche dei capelli che ricadono sul collo, bianchissimo nell’epidermide; alta la fronte, eretto il cranio, come se lo tenesse sollevato il ribollire continuo del sangue.Egli teneva volentieri in testa un cappello, che spesso alzava, scoprendo la fronte, nelle ore serene, ed invece si calava sul sopracciglio aggrondato, nelle ore meditabonde.

Arrivò dalle Americhe bello e spavaldo, nella patria risorta, col suo largo cappello di feltro, il suo puncho e la sua sella americana; simboli questi di un carisma tanto valido quanto riottoso, di uomo capace al sorriso ma deciso al comando, in sella a quel cavallo bianco, così, come tutti ancor oggi lo possiamo vedere in tutte le piazze d’Italia.

Per una gran parte degli storici del nostro Risorgimento Garibaldi e Mazzini hanno una funzione integrante. Se Mazzini non ci fosse stato, con le sue intemperanze e il non volersi piegare al destino, come sarebbe stato possibile alla stessa monarchia sabauda, che lo perseguitò sempre, dimostrare ai governi europei l’urgenza e la necessità di risolvere il problema dell’unità italiana? Se non ci fossero stati i Mille di Garibaldi e l’episodio di Teano, come sarebbe mai avvenutà la riunificazione nazionale?

Quindi i due Giuseppe ci sono, si incontrano e si scontrano, mossi entrambi dallo stesso ideale, e non è giusto considerare in negativo il fatto che i due, maturando, abbiano fatto scelte e avuto destini diversi.

Il condottiero del 1860 non era più il docile, ardente entusiasta giovane che, nei primi tempi della Giovine Italia aveva avuto per il suo Maestro una tenace devozione, e Mazzini non era più lo stesso che aveva insegnato a Garibaldi il patriottismo e ne aveva diffuso le gesta d’oltre oceano.

La differenza fra i due, affratellati da un giuramento, l’uno Maestro e l’altro discepolo, avevano radice nella loro stessa natura di uomini, liberi e giusti, ed entrambi erano ardenti, lirici, idealisti.

In Mazzini l’aspetto patriottico prevale, acuito dalla grande cultura, da una fede stabile negli ideali repubblicani e democratici, tanto da impegnarci tutto se stesso.

Garibaldi, al contrario, era puro impulso, nobile istinto, con gran fiducia in se stesso, con una carica di vanità auto ironica nei momenti di calma, irosa e ostinata nei momenti di azione o di malumore.

Dopo l’incontro segreto di Napoli, al culmine della spedizione dei Mille, sappiamo che Mazzini ormai vedeva in Garibaldi un dittatore militare, una personalità grossolana, bellicosa, priva di pensiero e di immaginazione, facilmente concupito dai tanti che sapevano di prenderlo per il verso giusto con prebende ed omaggi.

Garibaldi vedeva in Mazzini, da quel momento in poi, solo un dottrinario, troppo inutilmente inflessibile, uomo colmo di grandi teorie e di scarso senso pratico, che parla del popolo e al popolo, senza essere popolano.

Era questa proprio la stessa opinione che i moderati fra i futuri italiani si erano fatti del Mazzini, fatto passare dalla causa monarchica come unico e vero responsabile degli enormi sacrifici, in uomini ed in risorse, con i suoi moti e le sue piccole insurrezioni, che avevano avuto in sorte scarsità di risultato.

Nella storiografia che li riguarda c’è una lettera, scritta il 4 febbraio 1861, scritta da Garibaldi a Mazzini, nella quale il Generale rivela: “ Non penso come Voi circa Vittorio Emanuele. Egli ha l’educazione dei principi, è di buoni costumi, è virtuoso e diligente, ed in sostanza è quanto cercava l’Italia di Machiavelli e Dante. Noi dobbiamo concedergli illimitata fiducia. Io non ho mai capito altra repubblica che il bene del mio Paese!”.

Giuseppe Garibaldi godrà degli agi del seggio senatoriale, anche se con le tante arrabbiature per le sue iniziative, da alcuno condivise; ed anche di più, egli non partecipò ai funerali di Giuseppe Mazzini, morto nel 1872 sotto spoglie straniere, anche se mai volle e seppe rinunciare ad essere il più grande… tra i mazziniani..

Renato   Traquandi