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Ipazia
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Ipazia   ( 370 – 415 d.C.)

Figlia di Teone, geometra e filosofo, oltre che direttore del Museo di Alessandria, deve la sua notorietà agli scritti e gli studi che sono stati tramandati fino a noi direttamente, pochi direttamente, moltissimi per citazione indiretta da parte di altri sapienti, nel campo della matematica, dell’astronomia e della filosofia, per la quale fu particolarmente portata, seguendo le teorie di Platone.
Non era convertita al cristianesimo, restando pagana. Ad Alessandria d’Egitto la convivenza era abbastanza possibile, grazie all’alto grado raggiunto dalla civiltà egiziana in cultura.
Soltanto verso la fine del quarto secolo, sotto il regno dell’imperatore Teodosio, la campagna anti pagana si intensificò.  Il tempio di Scrapide, una sorta di divinità che riuniva in se i culti di Zeus e Osiride, venne posto sotto assedio da parte dei cristiani. LO stesso vescovo Teofilo, volle dare il primo colpo di piccone alla costruzione, che venne demolita.
Nello stesso periodo venne data alle fiamme la prestigiosa biblioteca, presso la quale erano custoditi migliaia e migliaia di testi, documenti delle preesistenti civiltà, che andarono irrimediabilmente perduti.
Nel 412, al vescovo Teofilo, successe, nella carica, il nipote Cirillo, che lascò continuare le malversazioni rivolte al mondo non cristiano.
Nella primavera del 415 un manipolo di cristiani riesce a catturare Ipazia, sul ciglio della strada, mentre, di sera, stava rientrando a casa dal suo ateneo.
Prima la colpirono duramente a colpi di bastoni, poi la trascinarono dentro una chiesa, luogo dove il suo corpo venne fatto a pezzi e i poveri resti bruciati.
In seguito a questo brutale evento, i seguaci di Ipazia e tutti gli uomini di cultura non cristiani, fino ad allora in maggioranza, abbandonarono Alessandria d’Egitto, che perse il primato di faro della cultura.
Poche sono le donne che hanno avuto la possibilità di distinguersi, nelle lettere, nelle arti, nelle scienze, sia nel mondo occidentale che nelel culture greche e latine. Molte hanno, addirittura, pagato con la  vita questo particolare tipo di impegni; il pensiero che una donna potesse emergere, in un mondo dominato dal sesso forte, nei campi di suo esclusivo dominio, era considerata una vera e propria colpa. Spesso, quando questyo accadeva, la donna era considerata una presuntuosa e relegata negli angoli più insignificanti.
Il primo trattato, nel quale è documentato il contributo di Ipazia, è un’opera firmata da Teone, dal titolo: “ Commento di Teone d’Alessandria al terzo libro del sistema matematico di Tolomeo. L’edizione è curata da Ipazia, mia figlia”.
Lo storico Filostorgio la ricorda come studiosa ed insegnante; questi, assieme ad altri cronisti dell’epoca, riporta numerose altre sue opere, oggi andate perdute.
L’astronomia era la materia che di più impegnava questa valente studiosa, il cui torto fusolo quello di essere rimasta pagana. Molte sono le interessanti scoperte da lei fatte sul moto degli astri, tuttora valide.
Su di lei, un’anomima poetessa scrisse questa ode:
“ Quando ti vedo mi prostro, davanti a te ed alle tue parole
Vedendo la casa astrale della vergine,
infatti, verso il cielo è rivolto ogni tuo atto.
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura”.
La scienziata di Alessandria al momento dell’aggressione avava in animo di tracciare per i discepoli una nuova traettoria, seguendo la quale, questi, potessero imparare, senza la mediazione del potere ecclesiastico, ad orientarsi sulla terra, dentro se stessi, e verso la volta celeste,  con il rigore proprio della geometria…. e quindi della ragion pura. 


Il compendio dei concetti, contenuti nelle opere di Marsilio Ficino, si ha nel trattato: ”Teologia platonica sull’immortalità dell’anima”.
In questo trattato, Ficino, che morirà a Firenze nel 1499, considera il platonismo una filosofia teologica razionale, in perfetta armonia con quelle, da lui e da tutti i credenti, considerate le verità del cristianesimo. 

Renato Traquandi     Zenit di Arezzo  anno  7012

Cimabue ( Cenni di Pepo) Cenni di Pepo è il vero nome del pittore fiorentino universalmente oggi conosciuto come Cimabue.

E’ nato a Firenze nel 1240.

Quasi nulla si conosce della sua giovinezza. Si inizia a parlare di lui per l’abilità e le particolari doti innate, durante la sua formazione, avvenuta in botteghe legate al classicismo bizantino. La forte influenza esercitata dalal Roma dei Papi continuava in quel periodo ad essere arbitra, se non unica interprete, dei modi e delle maniere utili alla celebrazioni della cristianità, anche se, con Federo II e gli altri sovrani, la lotta per il predominio fra tiara e corona, aveva continuato senza esclusione di colpi, e Firenze, città ricca e potente, risentiva di quella atmosfera.

Cimabue si fece conoscere per l’abilità, particolare, di saper imprimere nei suoi lavori particolari del mondo reale, non solo nella raffigurazione dei personaggi minori, santi, martiri, sacerdoti e dignitari, no, egli volle e seppe rappresentare anche la “personificazione” del Figlio e dello Spirito santo, nonché del Signore Iddio.

Ad Arezzo, nutrite folle di turisti, ammirano da secoli il dipinto del Crocefisso. I particolari anatomici, la muscolatura, la proporzione delle misure, le espressioni del corpo, sofferente, dell’uomo, inchiodato sulla croce….. danno una drammaticità alla visone del superbo dipinto molto terrena, senza nulla togliere alal sacralità ed alla devozione, che tuttora traspare, da quel capolavoro, di carattere universale.

Attorno al 1270 Cimabue dipinse “La maestà”, che oggi si trova esposta al Louvre; nel dipinto impegna tutto il suo estro creativo, rappresentando la Madonna con tutte le sue carnali attitudini femminili, ancorché ricolme della Grazia, in quanto appare più che sospesa, anzi, seduta sul trono, avvolta in una tunica a pieghe sottili.

Nella Basilica di Assisi Cimabue dipinse, era il 1280, gli affreschi delle volte e delle sotto volte, oltre al coro. Gli evangelisti, storie della Vergine, scene dell’apocalisse, giudizio e crocifissione di Gesù, Storie di san Pietro, sono i titoli delle opere che si possono ammirare nella Basilica.

Questi capolavori, dipinti assieme all’affresco di San Francesco e gli Angeli, che si trova nella Cappella Inferiore, colpiscono da secoli le folle dei fedeli in preghiera, certamente per la sacralità degli eventi e per le esigenze dettate dalla fede, ma pure per l’aspetto umano e tipicamente corporale delle figure.

E’ dunque grande merito di questo artista l’aver saputo dare ai personaggi rappresentati, una intensa forza espressiva, pregna di valore drammatico e fisico, concetto completamente nuovo, e pure azzardato, in quei tempi.

I colori, le proporzioni, gli atteggiamenti, i particolari anatomici, come il rilievo delle vene sulla pelle o la muscolatura maschile. Hanno reso Cimabue un precursore, capace di saper esprimersi e di rappresentare toni della pittura, non soltanto catartici.

Altro capolavoro lasciatoci da Cimabue è “La Santa Trinità”, che può oggi essere ammirata a Firenze. Altre opere si trovano conservate a Bologna e a Pisa.

Cimabue morì a Pisa, nel 1302.